E’ opportuno richiamare l’attenzione degliOnorevoli Virginia Raggi, Adriano Meloni, Andrea Coia ai Consiglieri Componenti della IX Commissione Commercio di Roma Capitale e al Dott. Luigi Maggio in materia di regolamentazione dei cosiddetti Farmer’s Market nella città di Roma.
UPVAD in questi ultimi 10 anni si è battuta per sottolineare quanto inopportuno fosse incentivarne la loro promozione e realizzazione, visto il contesto che vede tutti i quartieri della Capitale ospitare già 120 mercati giornalieri, dove più di 1500 banchi commercializzano prodotti ortofrutticoli, quasi il 10% di questi, gestiti già da coltivatori diretti nelle forme da sempre previste dal regolamento comunale vigente.
Sono numeri questi ridottisi di molto negli ultimi 20 anni, dal momento che la liberalizzazione introdotta dalla riforma “Bersani”, in questo secolo ha consentito la proliferazione di esercizi di vicinato in misura incontrollata, aperti e gestiti in forma pressoché monopolistica dalle immigrate comunità egiziane, soprattutto, e bengalesi, in misura di oltre 5mila unità locali, secondo le stime tracciate dalla Camera di Commercio.
Non da meno c’è da sottolineare che, in forza di un emendamento inserito nella legge regionale n. 33, dal 2003 i municipi rilasciano senza soluzione di continuità permessi che consentono agli stessi produttori agricoli (che un tempo erano autorizzati solo d’estate a commercializzare quanto abbondantemente raccolto nel proprio fondo) ad esercitare l’attività per 11 mesi l’anno, già favoriti peraltro da una compiacente legislazione nazionale di riferimento, che consente possano gli stessi vendere prodotti ortofrutticoli dei quali si siano approvvigionati altrove, purché la quota non superi il 49% della complessiva offerta di vendita al dettaglio (decreto legislativo n. 228/2001). Ma dal momento che nell’organico dell’Amministrazione Comunale non ci sono “agronomi” che possano verificare se il prodotto sia o meno proveniente dai fondi locali di produzione e che comunque i beneficiari dei permessi si guardano bene dall’etichettare come si dovrebbe la provenienza dei prodotti venduti, la conseguenza inevitabile è una forma generalizzata di abusivismo del tutto incontrollato.
Insomma, quello che si vuole far intendere ai nostri naturali interlocutori istituzionali è che Roma non ha bisogno di ampliare l’offerta ortofrutticola alle famiglie romane e che il brand rappresentato dalla definizione “farmer’s market” sia soprattutto una forma di espressione legata ad una moda, dove questa, qualche anno fa, si era propagata, specie in alcune regioni del nord Italia, e che ora rappresenta un fenomeno in controtendenza e in via di progressivo calo di attenzione.
D’altra parte anche a Roma, i primi farmer’s market sono stati aperti dietro l’insegna di “Campagna Amica” e per iniziativa della più importante associazione di categoria degli agricoltori, già beneficiaria di molti favori da parte di chi, in passato, ha rappresentato le istituzioni capitoline, se non addirittura il ministero alle Politiche Agricole. Ad esempio la struttura di via San Teodoro era per destinazione d’uso un autoparco, ma la sua ubicazione ben si prestava, in pieno Centro storico, ad ospitare un farmer market, così come lo era Testaccio (all’ex Mattatoio). Ricordiamo poi altri ne sono stati autorizzati in un po’ tutti i municipi. Tra questi in via Francesco Passino alla Garbatella, in via Tiburtina presso una struttura messa a disposizione dalla (ex) Provincia di Roma e ben due ad Ostia (piazza della Torretta e corso Duca di Genova, entrambi vicini al mercato coperto di via Orazio dello Sbirro).
Sarebbe utile conoscere chi, o per conto di chi, ha firmato la convenzione con il Comune di Roma per occupare l’autoparco di via San Teodoro, quanto viene corrisposto all’Amministrazione e quali costi di partecipazione abbiano le aziende agricole ivi operanti. In ultimo sarebbe utile sapere se i relativi posteggi verranno o meno sottoposti a bando per scadenza delle concessioni, in conseguenza del recepimento della Direttiva Bolkestein.
Un’ultima considerazione. Nel Testo Unico sul Commercio approvato dalla Giunta Regionale nel luglio del 2014, ma non ancora neanche pervenuto in Consiglio per l’approvazione, il legislatore aveva stabilito che anche i mercati agricoli dovessero essere sottoposti a regolamentazione per non replicare quanto avvenuto per gli pseudo mercatini di modernariato ed oggettistica, in mano a soggetti privati e frequentati tutti da non professionisti. L’Amministrazione Comunale, dunque, soprassieda da ogni ulteriore intenzione di favorire l’istituzione di altri farmer’s market e decida piuttosto di favorire l’ingresso di queste aziende agricole all’interno dei mercati cittadini. Tra l’altro, così facendo, favorirebbe la concorrenza interna, ne beneficerebbero le famiglie romane, sia in termini di scelta che di contenimento dei prezzi. Che poi è da sempre all’origine di un “mercato” popolare che si rispetti.